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fa? Eh, ci vuol altro che il gilè bianco e le scarpe lustre!

Infelice Pasquà! Egli guardava tutto il giorno il suo inutile harem.

«Ecco una cosa — disse fra sè Beatus, sorridendo quando fu solo — che contraddice all’elogio che Erasmo di Rotterdam fa della stoltezza, perchè ecco qui lo stolto Pasquà che soffre per questa liberazione dall’animalità. Liberazione? Sì, ma anche esenzione dalla vita».

E Beatus non sorrise più.

E si ricordò poi di quella gloria a cui aspirava la giovane professoressa: forse era la stessa cosa che formava il rimpianto di Pasquà: l’amore! Povera fanciulla! E pensò come potesse dare alla sterile giovinezza di colei ciò che non poteva dare ai maturi anni di Pasquà.