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sare quei ragazzoni di scolari se stavano più attenti a lei che ai libri.
Anche il suono della voce era dilettevole tanto che Beatus fu sorpreso di dover osservare che pur l’accento napoletano è grazioso.
Ma evidentemente egli stava più attento alla musica delle parole che al loro senso. Però quando la signorina concluse e disse: — Del resto io non domando che la mia felicità — rimase stupito, e guardò colei che domandava con tanta naturalezza la propria felicità.
— Ora lei, signor Regio Ispettore, è arbitro della mia felicità.
— Ma lei, signorina, mi onora di poteri magici — rispose Beatus.
Ma santi numi! Proprio ieri Beatus aveva consigliato la riduzione graduale dell’iperbole, come si usa con la morfina per guarire i morfinomani.
La felicità per la signorina consisteva nell’essere trasferita in una grande città.
— Io credevo, signorina — disse Beatus — che lei mi domandasse il contrario: cioè di non essere allontanata da questa città. Non è lei di questa città?