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il suo passaggio destasse meraviglia. Gli parve udire anche esclamazioni di scherno. Ma non potevano essere rivolte contro di lui. Sentì queste parole: «O che non si è più padroni di fare il comodaccio suo?»

Trovò un tavolo vuoto, e si sedette: ma quella luce lo abbagliava e chiuse gli occhi.

Sentiva le voci di alcuni signori presso il tavolo vicino al suo. Parlavano di politica. Non sentiva i discorsi, ma come un continuo ronzio, e in quel ronzio passavano ogni tanto dei corpuscoli sonori: «Lenin, Bela Kun, Sovieti, comunismo, proletariato», e ad ognuna di quelle parole era attaccato un senso taumaturgico.

Ieri erano altre parole: «Kaiser, Ludendorff, Mitteleuropa».

Una specie di terrore lo invase: di trovarsi solo in mezzo a una umanità formata di ventriloqui.

Ogni tanto frasi enfatiche di cose vere e anche non vere.

Poi sentì un altro ronzio: proveniva dall’altro tavolo: lì si parlava di arte, di belle donne, di illustri galanti donne: «Figure efebiche, senza più seno». «Il seno usava al