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La sala era tutta a specchi, dove le belle donne e i begli uomini si moltiplicavano per riflessione. Beatus vide nello specchio anche sè e la bimbetta.
— Come siamo brutti tutti e due! Ma siamo ben brutti!
E in verità lui e la bimbetta rappresentavano i pitecantropi da cui era partita l’umanità; e quella gente così splendente rappresentava la perfezione dell’arrivo. Ma erano senza fronte. Perciò Beatus disse alla bimbetta:
— Il più bello, qui, sono io.
— Oh! — esclamò la bimbetta stupefatta, e guardò Beatus.
— Ti dico sul serio: il più bello, qui, sono io.
La bimbetta non ebbe il coraggio di dire di no, ma riguardò Beatus con tali occhi che egli si sovvenne delle sentenze di Scolastica a suo riguardo: L’è mato, tuti i dixe che l’è mato.
O Beatus! uomo pieno di vanità! Tu, forse, potevi essere stato bello al tempo del manuale di Epitteto. Tu hai fatto la toilette all’interno della fronte; essi all’esterno. O uomo fuori dell’umanità!
Quella elegante compostezza a un tratto gli si trasmutò, e Beatus si domandò: