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Allora il nostro uomo si appartava in una sua stanzetta o studiolo, dove su di uno scaffale erano molti libri ascetici ed anche alcune opere di autori latini. Faceva i suoi conti, leggeva alcune preghiere e, talvolta, gli avveniva di aprire un vecchio volume di Livio.

Allora secoli di gloria passavano dinanzi a la sua fantasia, mortificata da la fede e da l’ubbidienza.

Egli rivedeva le legioni proconsolari, forti de la gioventù marsa ed apula, con alte le aquile ed i manipoli, passare lente e quasi fatali per le vie Flaminia ed Emilia. Andavano in Gallia, in Pannonia, ne la remota Britannia a portare il nome di Roma.

I feciali recavano in seno la pace e la guerra; i consoli parlavano ai barbari la lingua di Catone e di Ennio: e quegli uomini da le opere secolari egli se li raffigurava più grandi che la natura non comporti: immoti su di poderosi cavalli, o togati, ne la curia, col braccio teso in atto di dettar leggi o governare il mondo. E ricordando alcuni busti di marmo che erano nel museo del