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chio arsenale dei dogmi e de le superstizioni, che la miseria dell’intelletto fa germogliare come lebbra su l’albero felice de la fede, così che questo e le sue frondi d’eterno verde più non si scorgono. Conosceva tutte le pene dell’inferno e le gioie del paradiso; per quali opere l’uno si acquista, l’altro si perde; i giorni dei tridui, de le novene, le preghiere, gli scongiuri e via dicendo.
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Queste cose sapeva G. Giacomo quando fioriva la sua giovanezza fra le mura nere del seminario, e così press’a poco s’insegnava, mentre altrove, ne le settentrionali terre dei Cimeri, un risveglio immenso di nuovi studi, frementi di vero, batteva la gran diana a le coscienze torpide ed avvinte ancora al sogno del passato.
Ma di quel suono niun’eco giungeva ai confini di quelle città antiche; dove pur si leggeva serenamente di Titiro che sta seduto all’ombra del