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lenziose, anch’esse piene di santi e con un certo lezzo ascetico di sacrestia, di libri antichi e di fiori avvizziti.

Ma due cose piene di vita vi penetravano: il sole folgorante e ridente pei finestroni, ed il canto dei poemi di Livio e di Vergilio. Oggi questi e simili autori si leggono o per esercizio di critica o per intesservi dissertazioni filologiche, o piuttosto anche perchè certe viete abitudini sono dure a cadere e si trascinano morte per lungo tempo: ma allora in quelle scuole, la letteratura latina si disegnava nell’atteggiamento vivo e commosso di un canto nazionale, che giganteggia in fondo a la storia, a cui le menti ed i sogni tendono come a speglio e che si accetta quale è, ne la sua interezza epica, senza provare il bisogno di discutere o mutilare con l’arte de la critica.

In italiano si scriveva con una certa andatura un po’ boccaccevole e fiorita, avuta assai in conto da quei maestri: e come si stendevano con gusto quei compiti, come il discorso di Veturia a Coriolano, la descrizione de la battaglia di Canne, la morte di Decio, la concione del Senato romano al