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per la benedizione, pe’ tridui all’uno o all’altro santo, le chiese erano tutte aperte, e per le tenebre crescenti si vedeva in fondo a le lunghe navate un tremolare di candele su per l’altare maggiore; e nell’aria cheta montava un profumo di turiboli acre d’incenso ed un gemito di preghiere che salivano nell’inno del rosario e si abbassavano profonde e cadenzate nell’ave-maria. Poi un prete si levava alto ne la sua stola a benedire tutta quella folla nera di popolo che rispondeva con nuovo e più accorato bisbiglio di sommesse preghiere. Uscivano dal tempio, scantonavano lungo le vie e ritornavano a le case loro.

Batteva quindi l’ora di notte; ai crocicchi s’accendevano alcune lampade ad olio e sino all’alba era silenzio, rotto di quando in quando dal passo cadenzato dei gendarmi pontifici o dall’andar frettoloso di qualche borghese che ritornava da una veglia preceduto dal famiglio con la lanterna.