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che furono a la corte di quel principe; e le teste de gli imperatori romani, sporgenti fuori da le metope dell’arco d’Augusto, per lungo volgere di anni si cinsero di parietarie e invano attesero che per la via Flaminia giungessero clangori di tube e di litui o apparissero insegne di guerra.
Una grand’aura di morte si stese su quella città, ed i marmi dei monumenti aveano un bel durare contro il cancro del tempo, che da essi spirava solo tristezza di memorie ed oblio; anzi, ricordando un passato glorioso, facevano maggiormente sentire il tedio dell’inutile ora presente. Ma per buona sorte fuori da le mura si stendevano ubertosi piani e colli e il mare luceva davanti: buone cose de la natura da cui spira primavera eterna.
Che il governo pontificio fosse in parte cagione di quello stato torpido di coscienze e di cose è fuori di dubbio: vero è però che gli animi, o affaticati ed esausti da la antica operosità, o per altre cagioni che, sfuggendo all’analisi si sogliono denotare sotto il mistico nome di fatalità storica, fatti proclivi ad una certa immobilità, ritrovavano inconsciamente in quel governo qualche cosa
Il libro dei morti — 2 |