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Augusto con metope e capitelli dorici di squisita fattura, anche un tempio rettangolare, mirabile opera de la metà del secolo XV.

Lo avea ideato un giovine e selvaggio guerriero, signore di quella terra, il quale era così ebbro de la primavera del rinascimento pagano, che si diceva del sangue de gli Scipioni, ed ereggendo quel tempio, lo volle costrutto secondo il più puro ordine dell’architettura romana e dentro vi facea scolpire simboli e deità pagane, e chiamava poeti ed architetti a la sua corte. Fra un delitto e una battaglia, trovava tempo di poetare ne lo stile del Petrarca, ed avea fatto inalzare un gran castello di cui oggi rimangono solo due torrioni ad uso di carcere. Allora dunque, in quello scorcio di medio evo, la città dovea risonare di canti d’amore, di cavalcate di gente d’armi, di tornei, di belle e forti opere, mentre il tempio si cingeva di candidi marmi. Ma poi quando la città fu congiunta a gli Stati de la Chiesa, anche quest’ultimo rigoglio di vita ebbe fine.

Il tempio, in certe sue arche di travertino, rinchiuse i poeti, gli scultori, i guerrieri, le belle donne