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Quei primi bocconi ingollati, chè avea fame, quel tepore denso che lo ravvolgeva, lo ebbero alquanto confortato e volse l’occhio a l’intorno. Che melanconici commensali! Sedevano impettiti, toccavano appena le vivande con la punta de la forchetta e del coltello; gesti e parole parche e misurate.
Anche qui, pensava, gente che mangia e che non ride; e gli veniva a mente la sua tavola a casa sua: le stoviglie capaci, le posate col manico di corno, il pane ferrigno ma saporoso, i bei pollastri a lo spiedo, aulenti di rosmarino, la minestra semplice e molta. Il gatto attendeva immoto, il cane da l’altro lato sbadigliava ingordo. Egli impartiva la benedizione, poi si sedevano e si mangiava ridendo e conversando. Lì invece tutti stavano gravi; e nel trinciar le vivande e ne l’usar le stoviglie adempivano moti così compassati che per lui sarebbe stato un supplizio doversi cibare a quel modo. E poi pensava: perchè manipolare le vivande con tante salse e in tante forme? come può fare buon prò un simile mangiare? Forse è per questo che hanno quelle facce pallide e sdegnose.