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un cumulo di stoviglie, cominciò con rapidità e con fare imperterrito a sfilare una lista di vivande dai nomi più eterocliti che egli avesse udito mai.
G. Giacomo, levando l’occhio in su, oltrepassò lo sparato abbagliante di colui, fissò per un momento quel viso scialbo, e accennando con la mano di cessare, disse: — Mi porti semplicemente una zuppa ed un po’ di bollito. —
Venne poi un altro cameriere arrecando una bottiglia; l’avvolse in una tovagliuola, la stappò, ne forbì l’orlo e con molta gravità ne versava il liquore entro una coppa, sottile come velo di cipolla. Poi venne la zuppa in una terrina d’argento, fumante ed odorosa.
Egli avrebbe desiderato un semplice brodo, di quello che maturava per lunghe ore nel bel pentolone di coccio presso i ceppi candenti: bel brodo limpido e pieno di stelle. Quella invece era una mistura di un liquido denso e scuro, pieno di vari ingredienti. Ad ogni modo era buona al palato, ancor che non avvezzo a simili salse, ed il vino si lasciava bere; ma non era il suo vino, olio profumava di tralcio e di vendemmia.
Il libro dei morti — 10 |