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ben lineata da la calza di seta nera, cui una freccia d’oro tagliava: sotto, la sottana incontaminata e mirabile di pieghe e di merletti; sopra, la veste guarnita con parsimonia e ben dipinta a la vita; il boa, il cappellino chiuso, le mani serrate entro guanti di camoscio, l’una entro il manicotto, l’altra a rialzarsi la veste.

G. Giacomo non distinse la gentildonna da la cortigiana; ma quella pompa di donne andanti gli s’impresse tristamente a la fantasia come una mostra di carni lussuriose, di forme opime, snaturate e rilevate sotto la pudicizia di quell’andar grave e di quegli esotici indumenti.

E poi tutta quella gente avea per G. Giacomo l’aspetto d’un non so che d’automatico e d’innaturale: andavano a spasso e non ridevano; e di quel loro gestire forzato, strano; di quelle vesti in cui erano come costretti e rigidi, parevano, a vedere, assai superbi e soddisfatti. Se egli, pensava, avesse parlato loro, non sarebbe stato inteso, nè eglino lo avrebbero inteso. In verità non avrebbe mutato la sua vita col più ricco e col più felice di quanti erano in quella folla, e l’opprimeva un