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Era un albergo signorile e la camera non poteva essere migliore — non diceva nulla assolutamente. Molte stanze d’alloggio per lo meno ragionano a la fantasia con quel po’ di sudiciume che i viaggiatori precedenti vi hanno lasciato: spalliere di poltrone unte e consunte, mozziconi di zigari, qualche pettine o giornale dimenticato nel comodino, ed altre piccole miserie de la nostra immondizia. Quella invece era assolutamente pulita; le poltrone e le sedie coperte di mussola candida, il lavamano di marmo, il letto alto, bene imbottito, le lenzuola fresche, il bottone elettrico, il soppedaneo largo, denso. Però tutti quei mobili parevano arcigni e seccati di dovere servire quell’ospite esotico e mandavano un lezzo di vernice e di roba nuova.
G. Giacomo levò da la sacca un mezzo pollo che gli era rimasto de la colezione fatta in treno, una bottiglia di vino, un po’ del suo pane e si mise a mangiare: gli piaceva mangiare di quella roba sua. Il pollo era stato cotto la sera prima de la partenza da la sua buona vecchia; avea cotto anche quattro uova, poi aveva tutto avvoltolato ben