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piani, vie ampie, mirabili: e ogni tanto bagliori di quella luce bianca e viva così che si vedeva cadere giù di traverso la nebbia, sottile e continua: su i marciapiedi un luccicare abbagliante di vetrine, due file nere e confuse di gente; accanto, un roteare di carri, un balenare di cocchi gentilizi, un inseguirsi di carrozzelle: uomini, veicoli, tutti in fuga, curvi, sotto le ondate de la nebbia gelida e de la luce gelida.
L’omnibus si fermò davanti ad un albergo. Una porta a vetri, un grosso tappeto per terra, un cameriere in abito nero che gli toglie la valigia e l’accompagna da un signore che sta in un gabbiotto di cristalli a viva luce, davanti uno sportello.
Detto nome e cognome, segue il cameriere su per una scala di marmo bianco, il tappeto rosso, le pareti scialbe: da per tutto manifesti, orari, quadri di fotografie, tabelloni con chiavi, tessere, numeri. Si attraversa un corridoio — una camera è aperta. Il cameriere accende due candele, domanda se il signore ha bisogno di qualche cosa e, avutane risposta che no, augura la buona notte e se ne va.