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Verso le tre, l’aria si fece pungente ed il sole, sino allora luminoso, cominciò a disparire dietro una cortina di nebbie dense: ma la macchina che s’intravedeva ne le curve, rompeva quelle caligini e vi s’immergeva furente.
Attraverso le brume crescenti appariva un paesaggio nuovo ed una campagna coltivata in modo strano: non filari di viti, non colline in lontananza, non olivi cinerei e sacri; ma una pianura uniforme si stendeva a perdita d’occhio e scompariva ne le nebbie. Ogni tanto boscaglie, fiumi d’acqua verdastra e cupa, praterie, su cui filari di giunchi e di pioppi contorti e nani disegnavano figure geometriche smisurate e monotone. Il treno valicava le pianure, echeggiava su i ponti di ferro sospesi su quelle fiumane, faceva tremare le immote frondi dei pini de le boscaglie vicine.
Ogni rumore del giorno era cessato, e per quelle lande si sentiva quasi crescere il silenzio, perchè più fragoroso e monotono era il rombo del treno. Non parea che s’avvicinasse a la città, ma che si sprofondasse entro le tenebre verso spiagge ignote.