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56 | alfredo panzini |
— Péreat Cato! Catone che è morto e Catone che è vivo.
— Oh, vi pare? — disse ironicamente la dama —. I due presidii di Roma, come Castore e Polluce.
Quei giovani erano furibondi contro i Catoni, e ognuno diceva la sua.
Catone il vecchio quando Marcello portò a Roma le statue d’oro di Siracusa aveva detto che quelle statue erano pericolosi nemici. Faranno disprezzare i nostri numi di argilla. Aveva detto che per seicento anni Roma era stata bene in salute senza medici. Ora la Grecia ci manda i medici per distruggere tutti i Romani.
La dama disse:
— Può darsi che l’abbia detto per tirchieria, per non pagare medici e medicine, perché son tirchi tutti e due, zio e nepote. Odiosissimo difetto! Ma è la sola cosa dove vado d’accordo con Catone: meno li vedo i medici d’attorno, e più piacere mi fanno.
E un altro di quei galanti disse:
— E Catone il giovane, il senatore, non ha avuto il coraggio di proclamare che quando i Romani si fossero dati agli studii dei poeti greci, avrebbero perduto il loro stato?
— Che ne pensate, Marco Tullio? — domandò la dama. — Mi dispiace proprio sentir