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con alcune delle poesie di Catullo, ma così scorrette, cosi sciupate, che quel buon scrivano ne domanda scusa al lettore; però dice: «godrai buona salute, o lettor mio, se non dirai male di Catullo. Anno 1375».

Di questo codice guasto se ne trassero poi molte copie, finché si arrivò alla età della stampa; e allora, dal 1470 sino alla fine del secolo passato, furono tante le edizioni da non si dire. I Tedeschi, poi, del tempo della dotta Germania, figurarsi se furono felici di trovare codici cosi guasti, per ordinarli, per emendarli. Era la loro professione. Non parliamo poi delle traduzioni e delle imitazioni!

Fra tanta confusione, l’autore di questo libro rimane ancora dell’opinione di quello scrivano del tempo di Can della Scala: trovò le poesie di Catullo sotto il moggio è le mise sopra il moggio, dicendo: «Valebis si ei imprecatus non fueris».

A. P.