Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
il bacio di lesbia | 225 |
parve sul limitare, con una lampada in mano.
Era colei che lui chiamò mia luce, mia venerabile Dea, e lui non si meravigliò nel vederla.
Non era più ìa donna solare. Il lume lunare gli richiamò la onnipotente Hecate.
La voce di lei era dolce e lontana:
— Dall'Appia via dove stanno allineate le tombe degli avi, io vengo a ritrovarti.
Allora parve a lui di volersi alzare per seguirla come quando gioiosi soli risplendettero per lui, e lui la seguiva, e lei lo conduceva dove lei voleva.
Il volto di lei si appressò al volto di lui.
Egli disse:
— Così bianca voi siete che morta parete. Pallida come Mnesarete eravate: ma questo è un altro pallore.
La mano gelida di lei appena lo sfiorò.
— Ma quegli occhi, quegli occhi perché cosi rovesciati? I vostri grandi occhi sono di vetro.
Ora lei fuggiva con un piccolo ridere folle. E lui la seguiva. Attraversò tutta la casa, discese dalle scalee, arrivò in riva al lago dove stava il fasello. Ma già il fasello aveva levato la leva, e come ali tese stavano pronti i remi. I due nocchieri del cielo, Castore e Polluce, vigilavano a prora.
Snella la dama bianca montò sul fasello.