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il bacio di lesbia | 219 |
alla Colchide, andiamo a vedere se c’è un altro vello d’oro. L’oro è la sola poesia che valga presso i compagnoni. Ma il mio fasello era incantato.
Sapete dove mi porta? Nel Marocco.
Bene!, — dico fra me —, qui siamo proprio nei giardini con le melagrane d’oro. Ed ecco mi viene incontro Ulisse. Voi lo sapete che questo avventuriero nei suoi viaggi vagabondi era arrivato anche lui fin nel Marocco dove il mago Atlante sostiene il cielo. Ed ecco l’incantesimo di Ulisse quando Ulisse mi apparve, e dice che il suo cuore non altro desiderava se non vedere il fumo che si alza dalla sua casa, e poi di placida morte morire. Allora mi è sembrato che questa mia casa dimenticata, con i suoi morti, mi chiamasse: «Torna Catullo —, diceva, — che è l’ora! è l’ora!». Il fasello ecco impenna le ali, torna indietro, ed eccomi qua. E di Cicerone avete nuove?
Gli amici risposero:
— A Cicerone gli è morta la figliuola, la sua Tulliola. Lo si vede per le vie che si ferma ogni tanto, apre le braccia come faceva in Senato quando teneva i discorsi. Dice: Orbus sum, Tulliola, filiola, deliciae nostrae, mortua est; e altro non dice. Fa una gran pena. È invecchiato che non si riconosce più.
— Oh, povero il mio grande amico Marco Tullio, — esclamò Catullo —; non meritavi