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il bacio di lesbia 195

«Mio caro Catullo, voi fuggite da me come Attis all’apparizione di Cibele. Sia con vostra pace. La forza del vostro canto mi fa credere che voi non avete, se non in fantasia, lasciata per via alcuna parte di voi. Ah, si, o gran Dea, Dea Cibele, principessa dei monti di Frigia, risparmia a Catullo di far commettere simili sciocchezze. Gli uomini eunuchi non piacciono a nessuno. La stessa Cibele non ci potè metter rimedio, e si accontentò di mutare Attis in un pino. Voi sapete che io vi voglio bene, ma non vi sacrificherei la mia chioma, come fece Berenice: nemmeno per farvi dispetto. Ma ecco la ragione vera della mia lettera: ve la potevo dire in principio e ve la dico in fine. L’operazione di Attis pure a qualcosa può essere utile: non volete più essere mio amante? A piacer vostro. Ma morta io non sono, né voi siete morto. Or dunque, prima che la notte eterna ci addormenti, come avete detto voi nella canzonetta sul passerotto, possiamo diventare buoni amici. E io vi offro la mia pura amicizia. Fra i vostri lepidi bigliettini, se ben vi ricorda, ce ne deve essere uno concepito in questo senso. Se vi degnate passare da me, ve lo farò vedere. Il sistema che vi propongo credo vi sarà utile, anche per la vostra salute, specie se lo osserverete negli altri vostri vagabondaggi. E i Numi conceden-