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di Attis. Se una spada tragica non vi avesse folgorato la fantasia, voi avreste scritto un ben esornato carmen, come fanno gli altri. Niente di più. Voi siete morto per me? io sono morta per voi? Bene, bene, caro Catullo. Ragioniamone allora come due persone dei dialoghi dei morti di Luciano. Lasciamo da parte i filosofi che vissero prima di quel buon uomo di Socrate: non vanno d’accordo come è fatto il mondo, se tutto d’un pezzo, se a pezzettini molecolari, se creato per caso, se per ragione veduta, se di quattro elementi: acqua, aria, terra e fuoco, oppure anche di più elementi. Un giorno forse verrà che queste cose si conosceranno. Siccome per ora non si conoscono e i sapienti vanno d’accordo nel non andar d’accordo, cosi anche una ignorante di filosofia quale io mi sono può arrischiare una supposizione: che il mistero della vita consiste in quella parte dove Attis si operò da sé, e nella parte che voi avete con poca gentilezza oltraggiata in me. Sia anche giustificato il vostro oltraggio! Che colpa ne ho io? Che colpa ne avete voi, Catullo? Ci pensi Cibele e suo figlio. E se Cicerone non fosse inferocito contro di me, ecco un tema da offrire alle sue elucubrazioni, benché l’uomo non mi sembri troppo adatto per questi misteri cosi intimi. Ma lasciamo da parte gli scherzi. Io vi dico che il lamento, al ri-