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186 alfredo panzini


ben ripetere con l’antico ingegnere Archimede: «Dammi un bottoncino, una molletta, e farò saltare il mondo».


Per quello che si sa, la onnipotente Cibele significava la palingenesi o resurrezione di tutte le creature e cose create. Perciò il poeta Pindaro aveva scritto: «Beato chi conosce questi misteri, e poi discende nella vuota terra: egli conosce il principio e il fine delle cose».

E allora perché — si domandava quell’originale di Catullo —, il marito di Cibele andava a caccia disperata del bambino Giove per divorarselo?

Pensa che ti ripensa, arriva a questa conclusione: che il marito di Cibele, che era il Dio, che era il Signore delle cose create, si era pentito della sua creazione. Perciò prima ancora che il bambinello Giove arrivasse alla età di generare, lo voleva distruggere, cioè divorare.

Chi non sa che Giove, con tutti quei suoi congiungimenti, con donne celesti e con donne terrestri, è stato il gran padre dei mortali?

Ed ecco che il mistero si complica con la stessa Dea Cibele. Essa, come madre, fa di tutto per tener lontano quel padre divoratore; ma nel tempo stesso pensa a un altro piano