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180 alfredo panzini


me un generale di gran nominanza che si fa battere di sorpresa da un nemico da poco.

Nella fattispecie di Catullo la cosa rivestiva una inusitata gravità. In letteratura si sa che cosa è una «pleiade»: è una costellazione di poeti di cui si fa l’elenco, la descrizione di ciascuna stella, le previsioni su la loro immortalità, su la loro dimensione: stelle di prima grandezza, stelle nebulose, stellone, stelline. La pleiade che allora saliva sull’orizzonte della poesia, come si è veduto e come fu detto, era la pleiade alessandrina dei cantores novi, dei bei giovani, i neòteri, che poi vuol dire, in lingua greca, dei sempre più giovani. Essi domandavano il passo! Ora Catullo disorientava tutti. Se anche non era bello come Egnazio, né poeta come Suffeno, era stella! sia pure stravagante o errante, ma stella che va con le altre stelle, se e quando gli piace: ma va per conto proprio anche se sembra andare con le altre stelle. In una parola era unico, era riconosciuto unico, e fra lirico puro, lirico impuro, satirico e strafottente, non si sapeva cosa fosse. Certo era lui.


Catullo non lo faceva per malignità, ma perché non era capace di frenarsi, di chiudere un sentimento dentro di sé. Tutti lo sapevano che Catullo aveva piantato Clodia. Era un