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schia via da te questa lebbra. O patria mia, o mio lago fra i monti, o mia casa, o padre, o madre, perché vi abbandonai per venire in questa selva fiera di uomini? Io dolce fanciullo io decoro della casa, io speranza della mia gente, che sono io mai?

Non c’è un farmaco? Un nepente?

Forse gli Dei mi possono aiutare. E Catullo si mette a pregare come fosse stato battezzato.

Su nel cielo, egli domanda, non c’è un Dio, non c’è una Dea che ascolti la preghiera dell’uomo e discenda al soccorso con una medicina?

I bambini dicono alla mamma: «Portami via la bua». Ciò fa tanta compassione perché la mamma non può, e allora la mamma prega Maria.


Noi che scriviamo queste cose siamo turbati come Catullo, e non oseremmo procedere avanti se non avessimo i documenti di Catullo. Essi sono davvero incredibili.

Per liberarsi dal crudele amore pregò già Francesco Petrarca la Regina del Cielo, e gli angioli venivano a ricamargli col ritornello la fine di ogni strofa della sua canzone. Nella quale la bella donna di Avignone è bene ingiustamente paragonata alla implacabile Medusa.