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XXIII
LA CANZONE DEI CODICILLI
a Catullo si trova in stato furibondo: con veloce corsiere è galoppato sino a Baja, e vuole da Lesbia indietro i suoi bigliettini d’amore, le sue poesie: vuole troncare tutto con la sua Dea.
Egli se ne strafotte del grandioso motto «quas dederis solas habebis opes», «io ho quel che ho donato», egli vuole indietro la roba sua: sono sangue del suo sangue i suoi versi, i suoi codicilli.
E non considera che, senza di lei, quei versi non sarebbero nati, che senza la fecondazione di lei, di lui non resterebbe memoria.
Perciò trascorrendo a furia la via Appia per andare a Baja, era folle come un coribante, e per dove passava e vedeva gente, la convocava per dare l’assalto a quella ladra, a quella scherana che gli ha tolto ogni pace, e non gli vuole restituire la roba sua.
Cioè convocava i suoi versi.
Egli vede i suoi versi, i suoi endecasillabi, come fossero i suoi fidi guerrieri, le sue lance spezzate. Non son tutti forniti di giambo? I