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dall’amico Milone: da una vis contro un’altra vis, da una prepotenza contro una prepotenza.


Non è questa materia della nostra storia, ma trattandosi di un personaggio di cui tanto fu scritto in prosa e in rima, non è possibile tacere del tutto.

Il popolo di Roma stava bene in salute, ma la libertà era ammalata, ma non perciò Cicerone la amava di meno. Aveva capito che a curare la libertà occorreva un’operazione pericolosa: e l’operatore c’era e si chiamava Cesare, il quale anzi disse a Cicerone: «Vuoi essere mio aiutante?».

La dittatura in perpetuo, sia pure di un Cesare perpetuo, si presentava all’anima di lui non dissimile a ciò che per un credente sarebbe l’abolizione del libero arbitrio.

«Hai ragione, Cesare! Ma tant’è. Uccidimi! Se mi togli la ragione della vita, tòglimi anche la vita!» Questo fu l’errore di quelli stoici romani che si opposero a Cesare: essi partivano da quel presupposto da cui magnitudo animi existit, cioè che l’uomo fosse nato libero.

Cicerone esitò di fronte all’offerta di Cesare.

Intanto si formò il ciclone. L’amico Attico glielo aveva consigliato: «Marce Tulli, sàivati dal ciclone». Rimase preso in pieno. Pa-