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fu la moglie di Numa, il re sacerdote e legislatore sacro di Roma. Certo fu donna di tale virtù che non vide né conobbe altro uomo che suo marito.

Dunque la Bona Dea era il simbolo di quella pudicizia feminile da cui, secondo alcuni filosofi, hanno poi origine quelle virtù virili che rendono grandi popoli e nazioni.

Come fra i monaci del monte Athos, creatura feminile, né umana, né animale può penetrare, cosi creatura maschile non poteva penetrare nel tempio della Bona Dea. Il tempio, in quel maggio, era la casa stessa del Pontefice Massimo. Pontefice Massimo era Cesare; ma in quel giorno nemmeno lui poteva entrare in casa sua.

Ghirlande di fiori ornavano la casa; un fiore era precluso: il mirto che è sacro a Venere. Sacre danze si danzavano, ma l’orchestra era formata da donne flautiste e citarede. Le vestali in primo luogo e poi le più venerande matrone partecipavano a questo mistero. E siccome la danza deve essere folle per essere vera danza, tanto quando è sacra, tanto quando è profana, cosi rari vini, in anfore e crateri spumeggianti, si offrivano per la eccitazione e convulsione di quelle dame. Ma il vino serve anche alla eccitazione di Venere; perciò vino era, ma era chiamato latte.