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Bonne à tout faire: così ho inteso molte signore denominare la donna di servizio che fa di tutto in casa. Ora essendovi la cuciniera o cuoca per far da mangiare, la cameriera per le stanze, la guardarobiera per la biancheria, dicendo donna di servizio o semplicemente donna come di fatto si dice, si intende appunto, per accettata esclusione, la domestica bonne à tout faire.

Bonne heure (à la): modo francese, comune anche da noi, che servo ad indicare una specie di approvazione, manco male, vada pure. Lo registra il Manuzzi con esempi, il Tommaseo con esempi dell’Orlando In. (Berni) 25-29 e di altri. Lo usa il Manzoni ove Don Ferrante dice: «Che in tutte le cose di casa, la signora moglie fosse la padrona, alla buon’ora; ma lui servo, no» . P. S. Cap. XXVII.

Bonne mine à mauvais jeu (faire): questa frase francese è non rara da noi: la traduzione letterale: far buon viso a cattivo giuoco non ha efficacia perchè il valore di un motto consiste nella sua forma fissa e tipica. L’italiano ne avrebbe uno alquanto affine di senso: mangiar amaro e sputar dolce. Il dialetto milanese dice: mangià fèl e spüà mei. Se gli italiani studiassero con più amore i loro dialetti, troverebbero quanto di vero è nella teoria dantesca riguardo alla lingua!

Bonnetto: è parola non registrata nei nostri lessici, difatti è la versione di bonnet francese: però è parola molto in uso, specie fra’ militari, ne’ collegi, etc. La parola italiana è berretto, dal basso latino birretum, cioè cappello fatto in origine di stoffa rossa, pìrros. Il francese ha la parola barrette che dove essere la versione di berretta, e l’usano per indicare lo zucchetto dei preti e il cappello cardinalizio. Il Melzi accoglie bonetto.

Bonomìa: per bonarietà è ripreso come gallicismo (bonhomie). Bonomia è così dell’uso che lo sfuggire tale parola domanda uno sforzo di riflessione, come avviene per molti gallicismi, o presunti tali. Certo è un doppione de’ soliti.

Bons-mots: arguzie, facezie, meglio che barzellette e lepidezze. La parola francese è in grande uso fra noi. Bon mot non sempre indica la facezia arguta e fine ma dicesi anche quando essa è di cattivo genere: on peut donc dire, en plaisantant, un mauvais ou un méchant bon mot. Dando però, come di solito si intende, alla parola bon mot senso buono, vedasi come essa è resa elegantemente e signorilmente in questo periodo del Boccaccio (Decameron, giornata VI, novella I): «Giovani Donne, come nei lucidi sereni sono le stelle ornamento del cielo, e nella primavera i fiori de’ verdi prati, e de’ colli i rivestiti arbuscelli, così de’ laudevoli costumi e de’ ragionamenti belli sono i leggiadri motti: li quali perciò che brievi sono, tanto stanno meglio allo donne che agli uomini, quanto più alle donne che agli uomini il molto parlar si disdice.» Provisi in mezzo a questo magnifico ed estetico periodo a incastrare la voce tronca bon mot e l’effetto sarà spiacevole. Senza venir meno al proposito di trattare la materia intrapresa solo dal lato filologico e storico, nè ambendo al nome di purista e di grammatico, tuttavia per l’amore della gloriosa nostra favella mi si voglia concedere venia se mi accade di far talora questioni di lingua. Il vero è che la nostra favella è di così fine ed artistica struttura che facilmente si deforma e deformata, ben poco vale. Ciò è in altri passi di quest’opera ripetuto, e qui mi piace riportare queste buone ragioni in proposito del Romanelli, op. cit., pag. 129, in nota: «Si è detto che il privilegio di disputar sempre di lingua era dei Latini, ereditato poi da noi Italiani. Ma i Greci ne han disputato anch’essi non poco, gli uni censurando gli altri, anche prima del periodo filologico degli Alessandrini. Di Eschine, ricorda Cicerone, che ora solito di esaminare diligenter verborum omnium pondera, e alcuni vocaboli altrui gli sembravan duri, ingrati, intollerabili, ut Aesehini ne Demosthenes quidem videretur attice dicere (Orat. VIII.) Ma, insomma, se da noi se ne disputa assai, vuol dire che la lingua nostra è qualcosa di geniale, di artistico, dove una stonatura ci si sente. Ma questo è inutile predicarlo a certuni che, pur d’ingemmare le pagine di citazioni, utopie, paradossi, ora-