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— 552 — quella del dizionario vero e proprio, consigliata dal De Amicis. Di qualche sovrabbondanza difetto ti sarai accorto tu stesso ; ma come evitare le une e gli altri, se il criterio che ti ha guidato nell’accogliere le varie voci, doveva necessariamente essere del tutto soggettivo?

Certamente chi legge ha diritto di domandarsi se codesto tuo criterio è fondato su ragioni buone, od almeno plausibili ; ed io, per mio conto e per quello che posso giudicar dal saggio offertomi, mi sono risposto senz’altro che sí.

E inutile: in Italia noi abbiamo due lingue: una piú solenne, piú aristocratica, piú togata, che ci si fa innanzi ne’ discorsi accademici, nelle scritture, diciam cosí, ufficiali, nei libri scolastici, e (non par vero!) talvolta nei componimenti degli alunni; ed una che ci serve per i discorsi familiari, per le lettere private, per le «pratiche» d’ufficio, per il giornale politico, per quello pseudo letterario a due soldi il numero, e via via. C’è chi crede (tu stesso, se ho inteso bene) che a lungo andare esse si comporranno in una lingua sola, rispondente al movimento multiforme del pensiero italiano moderno; io non lo credo. La seconda di tali lingue è troppo capricciosa, troppo insofferente di freno, da un secolo e mezzo in qua, troppo sbrigliata. Alcuno vorrebbe farle intendere la ragione, darle qualche buon consiglio. Ah ! è tempo perso. Perchè non dire «rapportatore» invece di quello sgarbato e inarmonico «reporter»’:’ sembra domandarle il Carducci, autorevole se altri mai; e la ribelle fa orecchi da mercante e continua a compiacersi del suo inglesismo. Io stesso poi, che vado raccogliendo dal giornale quotidiano le espressioni ed i vocaboli novissimi, lo trovo tanto moderato in politica quanto giacobino in materia di lingua, ne vedo segno alcuno di resipiscenza.

Aggiungi che la smania di riuscir «veri» spinge scrittori, anche eminenti, a far buonviso al provincialismo, anzi ad usare senz’altro per intere pagine il dialetto di una regione; ed il pubblico naturalmente, applaude. dunque che s’ha a fare? Concedere tutto e non tentare nemmeno piú di fare argine alla corrente che va via via ingrossando? No certo, ma almeno mostrare coll’esempio che la parola italiana, prettamente italiana, talvolta c’è, ed aspetta’ solo di esser rimessa in onore; opporre al linguaggio incomposto e capriccioso del pubblico quello decente e composto della tradizione, non colla velleitá di sopraffare o distruggere il primo, che sarebbe contro ragione, ma affinchè quest’ultimo quasi vi si specchi entro, e, sentendosi come tenuto d’occhio, non s’abbandoni a tutti i capricci della sua spensierata ed esuberante giovinezza.

Prof. FEANCESCO FOFFANO.

Garzonetto ginnasiale, ebbi sentore della trovata d’un popolare nostro scrittore, esaltante il divertimento della lettura del vocabolario. Ne risi allora e sino a ieri ne risi. Io credeva che lo scorrere di proposito un dizionario potesse impiegarsi unicamente come un «sostitutivo» degli ipnotici nella disgrazia dell’insonnia, esser tavola di salvataggio nei casi — immaginati — di deportazione perpetua, colla licenza di recar seco non piú d’un volume. Dicevo: solo il dizionario, in fondo al quale non è supponibile che mai giunga lettor vivo, solo il dizionario darebbe l’assicurazione di bastare per tutta l’esistenza!

Il suo assaggio di Dixionario moderno mi fa ricredere e mi fa disdire. Esso promette di diventare un archivio prezioso, quale i Oefliigelte Worte, di giovare al par di certi dizionari tecnici, di adempiere in parte airufncio d’un Conversation’s Lexicon e d’un rapido manuale di Istituzione di bella letteratura.

Un libro da grammatico, che erudisca e insieme diletti, parmi quasi l’avvento delle cose impossibili. Dunque? Omne tulit punetum.

M. L. PATEIZI.

Ci voleva certo un dizionario che fosse Supplemento ai Di%ionari italiani \ cioè, che contenesse, non diciamo tutte, ma una gran parte di quelle voci dell’uso moderno, che i Dizionarii i quali insegnano come si deve scrivere piuttosto che come