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Quante volte non ho io invocato un dizionario come quello ch’Ella sta per dare alle stampe! Epperò immagini con quale piacere ne saluterò la comparsa: lo leggerò lo studierò, lo consulterò spessissimo e così mi auguro faranno i miei colleghi.
Perchè il suo dizionario — a giudicarne dal saggio che ho sott’occhi — penso che gioverà sopratutto a noi giornalisti e che diventerà, come si suol dire, uno dei ferri del nostro mestiere.
Io me ne riprometto, anzi, due vantaggi immediati.
Anzitutto esso servirà ad incoraggiare e sussidiare il proposito che ognuno di noi dovrebbe avere a cuore, di ricercare, cioè, e mettere in uso espressioni italiane anche per molte cose moderne di origine e di ricorrenza straniera.
Ella scrive argutamente e giustamente — «Vi sono parole italiane così belle, alate, luminose, che qualche volta danno delle feroci stoccate alle loro consorelle franco o anglo-italiane: voglio dire che se si scrive con un po’ d’amore esse ricorrono spontanee ove la penna ecc. — ». Ma vede, nel caso nostro, non è l’amore che manchi talvolta, è il tempo: onde — non avendo sotto mano un libro di consultazioni che, appunto, manca finora — ci succede spesso, come al sarto del Manzoni, di tendere invano a tutta forza l’intelletto senza trovare, lì per lì, sul momento, l’espressione o la parola italiana pura, bella, efficace, che si sa che esiste e che si vorrebbe ben usare invece del modo di dire straniero o barbaramente italianizzato che ci viene alla penna.
L’altro vantaggio che, spero, deriverà dalla pubblicazione, o — dirò meglio — dallo studio del suo dizionario sarà quello di vedere una buona volta nei nostri giornali parole, frasi e modi di dire stranieri — quando siano necessariamente conservati nell’originale — trascritti con correttezza e citati... a proposito: che una delle specialità della parola o della frase straniera la quale invade il nostro bel paese, è certo quella di essere spesso maneggiata da noi senza alcun rispetto alle sue ortografie e nemmeno al suo vero significato!
MARIO BORSA (publicista).
..... Da un pezzo mi sentivo in debito di una risposta al saggio speditomi del suo Dizionario Moderno, ma il ritardo ebbe oneste ragioni.
Io mi sentiva cioè tentato di rispondere a lungo ad alcuno almeno dei quesiti da lei sollevati, a lungo come meritava l’invito e l’importanza della cosa, ma cecidere manus non solo perchè travolto da altri studi, ma perchè all’atto mi accorsi quanto ardua fosse l’impresa di scendere male armato in un campo ove l’uso, l’autorità, il buon senso, libri e volgo combattono da tanto tempo e con sì diversa fortuna.
E anche ebbi paura di far vedere troppo — in fatto di teoriche di lingua — il mio codino manzoniano — dico del Manzoni artista più che trattatista, — non vedendo io senza qualche adombramento la rinascente invadenza dei dialetti regionali a danno della più salda unità che ha sua base nel fiorentino: fenomeno che ella mi parve invece considerare con maggiore indulgenza e simpatia.
Tutto considerando, preferii un po’ da poltrone sottoscrivere a molte cose buone da lei dette bene, e approvare senza condizioni l’opera da lei promessa, ormai necessaria nelle presenti condizioni della lingua, alle quali nulla gioverebbe il querulo pianto dei puristi.
Prof. ATTILIO DE MARCHI.
.... Il saggio che Ella mi invia del suo «Dizionario moderno» e gli intendimenti da Lei esposti nella prefazione promettono che l’opera riuscirà utile soddisfacendo a una necessità della presente coltura.
.... Sulla grave questione della lingua io sono — come nella vita — un ottimista, vale a dire ho fede nel buon senso italiano e, sopratutto, in quella suprema legge naturale per cui l’evolversi e il tramutarsi degli esseri e delle cose è irrevocabile e avviene sempre per il meglio.