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non scemano pregio alla geniale originalità dell’opera, la cui lingua e il cui stile è in felice contradizione con le affermazioni eroicamente ed argutamente sostenute nella prefazione.
Dottor ALBERTO ALLAN
prof. nel R. Istituto tecnico di Lodi.
Disporre in modo agevole per la ricerca tutti quei vocaboli e quei modi di dire (siano essi approvabili o no), che sono entrati nell’uso italiano, è far cosa utile a molte categorie di persone, è fissare forme, spesso transitorie, che potranno riuscire curiose al glottologo, allo psicologo, allo storico.
Sembrami, quindi, che debba essere accolto con plauso da tutti gli intelligenti il Dizionario moderno di Alfredo Fanzini, il quale contribuirà assai, per ciò che concerne l’Italia, alla miglior cognizione di quella che i Tedeschi chiamano Umgangssprache.
Prof. RODOLFO RENIER, dell’Università di Torino.
La sua prefazione al Dizionario moderno mi dette tale godimento intellettuale che volli fare dividere la mia gioia a coloro che non poterono ancora leggere il suo scritto.
Ella mi fa poi troppo onore domandando il mio giudizio. Io, della lingua italiana so quel poco che mi basta per esprimermi male, e il genere dei miei studi, — strettamente scientifico — avendomi insegnato a stimare l’idea più della forma, mi son trovato a scivolare talmente per quel pendìo che — a cuore sincero — molte volte mi sorprendo a dare alle mie ideo una forma semplicemente disastrosa.
Ma se è vero che l’uomo, anche se non sa fare l’uovo, — come la gallina, — sa però riconoscere se un uovo è fresco o no, — così, anche non sapendo maneggiare la lingua che Ella conosce a perfezione, le dirò ciò che penso sulla questione linguistica che Ella agita nella Prefazione.
Le esporrò dapprima un fatto personale (vede come credo all’eloquenza dei fatti!) al quale Ella darà il valore che crede. Una decina d’anni fa nel mio volume che studiava le leggi psicologiche e sociologiche che regolano l’evoluzione del gergo (dalla coppia alle associazioni e da queste alle classi sociali) mi intestardii ad affermare, non so più a quale pagina, che i gerghi o modi di dire di gergo muojono se escono fuori dal buio ove furono creati e se pretendono mettersi liberamente in circolazione, in mezzo al turbinio delle parole della lingua officiale.
Da quel tempo — assai giovanile — il mio concetto mutò, sotto la sferza continua ed efficace dell’esame dei fatti. Mutò tanto, che mi accorsi d’aver detto proprio il contrario — o quasi — di ciò che rispondeva alla verità. E la sua Prefazione mi giunse proprio quando la mia conversione era fatta, e da un pezzo. Ben venga il suo Dizionario.
Poichè, se non mi sbaglio, due sono le concezioni che lo studioso può farsi della lingua parlata.
O è la splendida e intatta vetrina di museo, ermeticamente chiusa, — adorabile, purissima, — e intangibile, o è l’essere vivo, che non vuol sentire odore di stantio e che si getta nella vita moderna, agitata, vibrante, tumultuosa, — qualche volta anche disforme, ma pur sempre viva, balzante, calda, — come sangue che circoli gorgogliando, nelle vene e nei polsi dell’uomo sano.
Queste due concezioni hanno i loro campioni, che battagliano con eguale valore. Per gli uni la lingua ha da conservare gelosamente le sue antiche bellezze e — essendosi chiusa entro alla cittadella d’avorio — non deve farsi contaminare da alcun nuovo elemento. Essa compiacesi nella finezza meravigliosa del suo interminabile esercito di parole, scintillanti come armata in campo, e le offre intatte e intangibili, allo sguardo dell’ammiratore, come i musei, — dietro i vetri — offrono all’ammirazione del devoto visitatore i medaglieri ove si allineano le antiche e belle monete del più alto valore. Per gli altri, al contrario, la lingua, nella sua qualità di organismo in formazione continua, non è cristallizzato miracolo di bellezza, non è meda-