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è oggi l’italiano dell’uso», come Ella afferma, sì bene a documento di un certo uso, vale a dire dell’uso degli «improvvisatori, degli spensierati, dei dilettanti di letteratura», che poco frequentarono la scuola o la frequentarono senza profitto. La gente colta, la gente seria — o ch’io m’inganno — evita gran parte de’ vocaboli e de’ modi da Lei segnalati. Mia moglie, per esempio, — milanese di Milano e non professoressa (Vede? uso questo vocabolo che alcuni miei confratelli in purismo respingerebbero inorriditi) — mia moglie, dunque, quando parla in italiano (il che fa quasi sempre), non adopera mai verza per cavolo, nè farne vedere a uno per tormentarlo, e neppure, come dicono a tutto pasto gli incolti nella città egemonica d’Italia, so niente per non so niente o disfo per disfò o disfaccio. Forse che per la legge del minimo sforzo, dev’esser lecito ignorare, oltre all’uso de’ vocaboli e delle metafore tradizionalmente italiani, anche la grammatica? Ella, a dimostrare l’inutilità de’ professori d’italiano e la vanità dei loro filologici amori, cita il catechistico insegnamento della storia letteraria; ma perchè dimenticare la correzione dei così detti componimenti?

Ancora. Non mi par vero che «il disputare di voci pure od impure, nostrane o barbare, sia antico ozio accademico degli Italiani». Nella prefazione alla mia «Teorica di francesismi», che ebbe lodi dal Fornaciari dal Pascoli, io smentivo questa opinione citando l’opera letteraria dei Decadenti e la maestà dell’imperatore Guglielmo, il quale con pubblico bando ordinò che nella lingua militare del suo popolo alle parole straniere fossero sostituite parole germaniche. Ora aggiungo che in Germania appunto si pubblica una rivista a difesa della purità, dal solenne titolo Allgemeiner deutscher Sprachverein, e che il gran Littré nel suo Dictionnaire alla voce préoccuper nota: — «C’est une faute fort commune aujourd’hui d’employer se preoccupèr pour s’occuper. Tous nos ministres à la Chambre des députés, quand on signale une difficulté, disent qu’ils s’en préoccupent ou qu’ils s’en sont préoccupès et tous les journaux répètent cette mauvaise locution».

Anche Giulio Cesare da buon Latino, non ostante l’affermazione contenuta nel passo ch’ella cita a pag. XX, fu intinto nella stessa pece. Dice infatti di lui Cicerone nel Brutus: — «Caesar, rationem adhibens, consuetudinem vitiosam et corruptam pura et incorrupta consuetudine emendat» — .

Del resto io non credo punto dannoso il suo Dizionario moderno, il quale dà sì genialmente ragione di tanti vocaboli e modi e costrutti, non dell’uso, ma — insisto — di un certo uso, di una certa — per dirla cesarianamente — consuetudine viziosa e corrotta che può e dev’essere emendata in gran parte. Il suo poi s’avvantaggia sugli altri, oltrechè per altri pregi notevoli, per la quasi sempre chiara e precisa definizione di vocaboli finora vaganti incertamente su labbra e fogli insubri e dei termini scientifici più comuni, finora non dichiarati o mal dichiarati in dizionari che vanno per la maggiore. Dico quasi sempre, e non sempre, perchè qualche volta il buio rimane. Infatti, quando leggo: — «Vertigine, come termine medico è sindrome determinata specialmente dal senso della instabilità nello spazio rispetto alle cose circostanti» — io profano, io che ignoro il valore scientifico della voce sindrome1, ne so quanto prima.

Altre osservazioni pedantesche.

Alle parole: — «Va sans dire è locuz. fr. usata per vizio» — aggiungerei: specialmente dall’aristocrazia o da chi la frequenta ed imita. Gli Italiani ignobili dicono in generale alla buona: s’intende, si capisce. La stessa aggiunta si potrebbe faro per altri modi stranieri consimili. È bene risulti da che parte il vizio provenga.

Vasel d’ogni froda non credo sia modo entrato nell’uso comune. Lo stesso direi di Vecchio della montagna, di Versiscioltaio, di Pastorelleria. O forse queste parole sono da ascriversi tra le non registrate? Ma pastorelleria, almeno, è nel Dizionario Rigutini-Fanfani.

Similmente, non dev’esser lecito notare e non condannare velodrómo per velódromo. L’ortoepia è parte della grammatica, e, quando si tratta di grammatica, bisogna essere conservatori feroci. Ma questo sono minuzie e quisquiglie da rètori che

  1. La parola sindrome è spiegata a suo posto. (Nota dell’Autore).