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è questo che va dimostrando il nostro Trombetti?) la quale circola per i tessuti linguistici senza immobilizzarsi, cioè senza morire, anzi con un continuo processo di assimilazione e di disassimilazione, noi perveniamo alla conclusione ben luminosa e filosofica, che una, anzi sempre piú chiaramente una, nella sua essenza, rimanendo l’anima umana, pur nella infinita varietá dei suoi atteggiamenti, una ne sia sostanzialmente l’espressione, pure modificandosi per lenti trapassi nell’estensione enorme non dello spazio soltanto, ma, forse piú ancora, del tempo.

E che diventa, allora, la timida, l’ingenua domanda, del «si può dire?» e del «non si può dire?’» Essa sembra presupporre e sottintendere un’autoritá superiore, cui spetti sentenziare e rispondere ; mentre della sentenza e della risposta, non è arbitra se non la collettivitá anonima in mezzo alla quale la parola e la frase dubbia viene a cadere: se essa vi è compresa ed accetta, si può dire: se no, no ; precisamente come una moneta, che abbia o non abbia corso (non importa se legale, purché vada) in un dato paese e in un dato periodo.

Ne con questo Ella, vede bene, io mi fo paladino del parlare e dello scrivere sciatti e trasandati; anzi! Io dico infatti, che parole e frasi, dovunque vengano, hanno da essere non solo comprese, ma accette, o per esserle accette, cioè grate, cioè simpatiche, hanno da essere chiare, espressive, armoniose, intonate con le altre a cui si associano, insomma belle; e quando parole e frasi, vecchie o nuove, paesane o forestiere, auliche o popolari che siano, sono belle, sono buoni strumenti, vivi colori per l’arte del dire, che cosa si può onestamente pretender di piú?

E passo a quanto Ella dice nella seconda parte della sua prefazione, quella che riguarda lo stato presente della lingua italiana, per dirle che qui pure io sono, in massima e nelle linee generali, pienamente d’accordo con Lei, cominciando dall’affermazione che oggi noi attraversiamo, anche nel linguaggio, una vera crisi di crescenza, appunto come nel pensiero, nell’arte, nell’industria, nella politica sociale, nella vita collettiva, insomma; crisi cosí rapida, estesa, profonda, tumultuosa, da dare quasi all’evoluzione l’aspetto minaccioso d’una rivoluzione: fenomeno magnifico, e che a me, estetista, e che quindi lo contemplo come spettacolo, non solo non fa minimamente paura, ma suscita meraviglia grata e festosa ammirazione. Io sono di tempra ottimista, del resto, e serbo, anche attraverso ai passeggeri disastri, la fede incrollabile nel galantomismo del tempo e nelle promesse dell’avvenire; per intanto, mi contento dei piccoli acconti del presente; ed anche in arte, anche in letteratura, trovo piú spesso da godere ingenuamente e da schiettamente applaudire, che non da censurare, da biasimare, da protestare ; cosí, io non credo, con Lei, che «di buoni scrittori oggi ce ne sian pochi» ; non passo anzi mai un anno intero, senza aver la rivelazione d’un poeta, d’un romanziere, d’un pensatore nuovi, di prim’ordine a mio parere ; vale a dire, degni di figurare accanto a quei classici dei secoli passati, dei quali è data la biografia e son riportati saggi di prose e di versi in tutte le antologie ; faccia il conto, e son cento forti scrittori, dal piú al meno, in un secolo, cioè quanti non ne può vantare sicuramente nessun altro anteriore.

Lei forse mi dirá, a questo punto, che il mio è un apprezzamento personale, enormemente dubbio e discutibile ; ed io ne convengo: ma le faccio osservare che di fatto, se non venissero imposti ufficialmente nelle scuole, i signori classici non si ristamperebbero quasi piú, e sarebbero pochissimo letti; mentre i contemporanei, quelli che incontrano il gusto generale, s’intende, vodon succedersi rapidamente lo edizioni, a migliaia di esemplari, dei loro libri. Che importa se i posteri, alla lor volta, li dimenticheranno? Per buoni scrittori, noi viventi, non dobbiamo naturalmente intendere quelli che piacquero ai nostri progenitori che ci guardano dall’alto in basso dai vecchi ritratti anneriti, né quelli che piaceranno ai figli di quei marmocchi che succhiano ora, con tondo faccetto di bestioline, i morbidi seni delle nostro donne.

E su questo punto soggiungo una cosa sola, con lo stesso parole sue, caro collega: «Non faccio nomi né cito esempi, perché sembrerebbe ch’io volessi lodare opere od autori, poco noti od ignoti»: il che vuol diro, elio entrambi riconosciamo che di scrittori, non solo buoni, ma ottimi, co n’é oggi assai piú di quelli che sono gonoralmento riconosciuti per tali.

Ella poi rileva conio tra persone di media coltura (le quali, noti, costituiscono appunto la grande massa della borghesia oggi dominante) appaia sempre piú chiaro «un vero compiacimento noM’usaro il vocabolo e la frase forestiera», lino a eroderò d’affrott.’iro por tale mezzo l’avvento di un linu;uaggio unico, universale.