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.... Trovo la prefazione una magnifica cosa, per le idee che esprime e per l’incisiva scultoria scintillante forma con la quale sono espresse. Credo che il Nuovo Dizionario da Lei compilato con così larghi e acuti intendimenti riuscirà un’opera di vittoria.




.....Accanto alla vecchia lingua venerabile vivo per noi la necessità quotidiana di un’altra lingua sempre nuova, sempre in via di arricchirsi e di mutarsi, e che non è italiana. Che ne facciamo? Bisogna prima di tutto che noi prendiamo a conoscerla con sicurezza, perchè, in ogni caso, non ci si comporta bene verso ciò che si conosce male. Ci ha pensato Alfredo Panzini, sano e arguto novellatore, nel quale nessuno finora avrebbe sospettato un vocabolarista in potenza. Vocabolarista egli s’è fatto per ragion di buon senso. Vivendo a Milano, nel maggior centro commerciale e industriale d’Italia, dove si diffondono prestamente nella parlata i nomi di cose e di costumi che vengano d’oltralpe, senza trovare gran resistenza in un tenace uso locale, il Panzini trovò che di codeste innumerevoli espressioni nuove e forestiere, come di modi correnti derivati da detti greci, latini o dialettali, neologismi della scienza, della politica, del giornalismo, della moda, dello sport del teatro, della cucina, i più fanno libero uso senza saperne esattamente il valore, l’origine e spesso nemmeno l’ortografia. E si accinse a fare ciò che, in verità, è strano che non sia già stato fatto: un Dizionario moderno (Milano, Hoepli) in cui siano registrate e spiegate le voci che mancano nei dizionari italiani della lingua pura. Del lungo lavoro il Panzini manda attorno un saggio e domanda agli amici il loro parere. Io rispondo in pubblico che la sua idea, intanto, è eccellente, checchè altri ne possa dire; perchè, barbare o no, scorrette o no, le locuzioni registrate nel suo dizionario, appartengono alla pratica comune, sono fatti linguistici che è impossibile negare e che sarebbe stolto disprezzare: sono espressioni del nuovo pensiero, del nuovo sapere, delle nuove usanze di tutti i paesi civili, e formano un piccolo vocabolario universale di cui anche l’Italia, anzi più che l’accademica tradizionale Italia ha bisogno.

I pedanti, i quali credono sul serio che i vocabolari siano i codici legali e non gli indici anagrafici della lingua, si scandalizzino a posta loro: il pubblico sarà ben contento di trovare finalmente spiegate in un libro autorevole tante espressioni che la moda ci porta di fuori o conia di suo, obbligandoci a usarle se vogliamo trattare coi nostri simili speditamente, da gente pratica e deliberata a far suoi gli acquisti della civiltà moderna: espressioni di tutti, che però pochi intendono a dovere, giacchè, osserva il Panzini, se il «giovin signore» non ha bisogno di chi gli spieghi il vocabolo steeplechase, il fisiologo involuzione, la crestaia aigrette, il medico toracentesi, il geografo Thalweg, il geologo trias, il cuoco suprême di pollo, il filosofo agnosticismo, il giornalista leader, l’avvocato preterintenzionalità, il fisico radioattività, l’archeologo terramara, l’economista plusvalore, eccetera, ciascuno di questi signori può aver bisogno degli schiarimenti di cui non ha bisogno l’altro, e il pubblico in genere gradirà che gli si chiarisca il glossario speciale delle varie scienze e professioni.

Rendendo ragione del suo lavoro in assai lunga prefazione, l’autore del Dizionario moderno prevede e ribatte gli argomenti di coloro a cui l’opera sua può parere empia o provocatrice di letterari disordini. Prima di tutto, comporre un vocabolario sia pur di barbarismi e di neologismi non è consacrare queste eresie nè imporle altrui. E poi, secondo il Panzini, non si può sacrificare una parte anche minima di pensiero alla purezza del linguaggio, e al pensiero moderno è oramai indispensabile, istintivo, quasi connaturato un linguaggio internazionale. È inutile opporsi all’accettazione delle novità, sian esse vocaboli stranieri o italianizzati: nèé por esseo la lingua italiana andrà in rovina. Chi può assicurare che questa invasione di neologismi non rappresenti una necessità, un fenomeno dell’evoluzione storica del nostro paese, venuto con l’indipendenza e con l’unità a contatto immediato con altri popoli più progrediti?

Senonchè il fenomeno naturale, fisiologico, si complica con altri fenomeni fittizi, patologici: da una parte la resistenza gretta e cieca dei nuovi puristi, che vedono nella lingua più tosto un fine agli studi che un mezzo alla vita intellettuale e pra-