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Prefazione xxix

zaleggiante, che la prosa dei Fioretti è di aurea semplicità: che la scuola del Guinizelli è dottrinale: che il Boiardo fonde i due cicli: che il metodo storico scientifico deve guidare severamente le ricerche, etc., etc.; quando a queste parole non corrispondano le nozioni, è proprio utile? Alla sincerità delle lettere e della vita meglio giova saperne di meno, e per compenso ottenere che il giovane conosca un poco di logica e di decoro nel comporre! Del resto i giovani stessi rispondono a questo punto interrogativo praticamente: oramai essi non sentono e non curano che quegli insegnamenti che hanno un diretto rapporto pratico con la loro futura professione. E detto questo è detto anche troppo.

Tornando al tema e concludendo, credo doversi ritenere anche questo uso delle voci straniere un fatto normale, «fisiologico» per così dire, di evoluzione del linguaggio. Se non che esso si complica e si somma con altri fenomeni, i quali per quanto benevolo giudizio si voglia dare, non possono non giudicarsi gravemente. Dalla «fisiologia» passiamo alla «patologia», almeno a me sembra; ed a questi fenomeni io alludevo in principio parlando di correnti in urto e contrasto con la corrente o principio maggiore. Vedrò di essere breve.

Ecco: qualsiasi parola straniera, senza distinzione di necessaria o non necessaria, si innesta nel parlare e nello scrivere nostro senza trovare opposizione o difesa; anzi quanto più noi dal popolo incolto risaliamo alle persone di media coltura, tanto più chiaro appare un vero compiacimento nell’usare il vocabolo e la frase forastiera. Si direbbe che il poter giungere al buon uso di una parola non italiana rappresenti una conquista di intellettualità! Vi sono poi alcuni che in questa predilezione del suono straniero sono di una spietata sincerità: non si nascondono, ma credono anzi di operare a fine di bene e di affrettare per tale mezzo l’avvento di un linguaggio unico, universale.

Che dire? Io da vero non so. Che sia un male la varietà dei linguaggi fra gli umani, è verità troppo antica per qui tornare a ripeterla. E come corollario fu detto: «Se gli uomini parlassero tutti uno stesso linguaggio, la fratellanza fra gli umani avverrebbe più facilmente e le discordie e le dissenzioni scomparirebbero». Argomento troppo ideale, troppo fallace o troppo tribunizio per discuterlo soltanto. Caino uccise Abele pur favellando nel linguaggio del paradiso terrestre, e la forza dell’insano leone che Prometeo infuse nell’uomo è un micròbio che, per quanto attenuato dalla civiltà, il sincero fisiologo dell’anima scopre ancora nell’anima. Esso si manifesta all’infuori di un qualsiasi volapük umanitario. Io non credo che per questa strada ci avvieremo ad un lin-