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Prefazione | xxvii |
voglio dire che se si scrive con un po’ d’amore, esse ricorrono spontanee su la penna, come più immediate e proprie espressioni dell’anima italica. Queste nobili parole ci porgono un altro conforto, un po’ magro se si vuole, ma che vale meglio di niente. Quando gli italiani si vestono proprio dalla festa, cioè, fuor di metafora, nelle scritture solenni, allora queste parole sono cercate, allora ricorre la richiesta: «O come si dice in buon italiano?» e si pensa sul come si dice e si cerca di levare un po’ di ruggine a questi vocaboli, di provarli nelle congiunture; giacchè anche nelle parole, come negli organi del corpo, la mancanza di esercizio atrofizza e toglie la funzione.
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E già che entrammo in argomento trattando di puristi, proseguiamo con essi.
Vi sono fra i puristi alcuni di bocca più buona e di manica più larga, i quali si accontenterebbero della voce straniera purchè avesse un tantino d’ageggio italiano, cioè si coprisse almeno le pudende barbariche con un paio di mutandine o una foglia di fico italiano, cioè fossero assimilate.
E vada pure per l’assimilazione: certo l’Italia del Quattrocento e del Cinquecento poteva accogliere la barbarie d’Europa nel suo grembo e penetrarla dell’ardente sua vita. A quel tempo le parole straniere, relativamente poche, si dissolvevano, fondevano, assimilavano per virtù del calore organico del nostro linguaggio.
Ma allora l’Italia aveva il monopolio della intellettualità; letteratura italiana voleva dire letteratura europea, e tale onore le fu conservato per impulso o tradizione fino a quasi tutto il Settecento, cioè anche quando non ne era più degna: oggi queste voci «barbarie, barbari, barbarismi», così care ai puristi, prese in valore non storico o filologico, ma reale, farebbero sorridere. Questi barbarismi rappresentano cose o idee che noi togliemmo per forza da altri popoli i quali andarono avanti nel tempo che noi restammo fermi. Bene: molte di queste parole — almeno sinora — non si adattano all’assimilazione, bisogna spenderle come sono. Qui un purista può dirmi:
«Ma il popolo non le usa!»
Ma il popolo ha un vocabolario più ristretto.
«Ma si fa un giro di voci!»