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xxii Alfredo Panzini


Dio me ne liberi: ecco, nel giudicare una scrittura di prosa io mi sforzo di mettermi nello stato di una persona, non letterata, ma di buon senso: quando capisco proprio bene e quando mi godo a leggere e più a rileggere; quando tocco, sento, respiro nella pagina, allora dico che è bella prosa, sia fatterello per bimbi, sia alta trattazione; ma ciò nelle prose nostre moderne mi accade di rado, ed ho sentito che anche ad altri accade lo stesso.

Qui devo supporre che alcun altro mi osservi: «Ma vi sono in Italia, fuor degli esteti, molti scrittori pieni di brio, la cui prosa spuma e scintilla». E chi lo nega? Se non che, osservando bene, m’accorgo che di solito si tratta di spuma e scintillio di derivazione francese: in tal caso, potendo, vado alla sorgente e leggo libri francesi lasciando ad altri di ammirare la ben nota virtù assimilatrice degli italiani. Il nostro publico aristocratico, infatti, fa proprio così, cioè legge di preferenza libri stranieri: i librai possono informare su tale proposito, e una statistica su la importazione dei libri e dei giornali di Francia e un raffronto con lo scarso smercio dei troppi libri italiani potrebbe riuscire istruttivo.

«Ma questo è affare di stile, non di lingua, due cose ben distinte», dirà il lettore che sa di retorica. Vero, due organismi distinti, ma con funzione reciproca; non so, come il cuore e il polmone. Il forte uso della parola e della frase straniera porta il pensiero ad amalgamare le parole, anche italiane, secondo una struttura (stile) che non è la nostra, o, quel che è peggio e più frequente, a darci un prodotto bastardo: per contrario un pensiero conforme al sentimento italiano reagisce su la parola e su la frase, le domina, le seleziona, cioè o le espelle, o le fonde in modo armonico: ma ciò avviene spontaneamente, per impeto e forza di calore naturale; in tal caso le parole straniere, anche crude senza la veste o desinenza italiana, non sono — a mio riguardo — paurose. Tutto il nodo della questione in fondo è qui.

«Secondo voi, dunque, di buoni scrittori ce ne sono pochi».

Sì, pochi che congiungano quella vivacità e lucidezza che fanno la prosa dilettosa (e ciò è tanto necessario che se uno scrittore mi scrive anche alla francese ma si faccia gustare, gli dico bravo!) con il sapore dell’italianità: fra i letterati eruditi non mancano alcuni di fama assodata che scrivono mirabilmente, e sono semplici, lucidi, facili. Ma la più parte di questi letterati eruditi trascura troppo l’arte dello scrivere, e ciò per molte cause, non ultima questa che io credo erronea: essere la gravità scientifica indipendente dalla genialità della forma.