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xvi Alfredo Panzini


«Ma dovevate usare spietatamente la frusta come fanno i puristi nei loro libri» dirà alcuno rimproverandomi 1.

Ma io sono uomo privato, non sono gabelliere io delle parole; e poi, chi mi diede tale ufficio? ed è giusto che io debba addolorarmi o sdegnarmi per ciò che la nazione non cura? Un male che non si avverte non si può chiamar male. Dite al sudicio che il sudiciume è una sofferenza e vi risponderà che il lavarsi invece è una sofferenza; e infine non vi sono in Italia le Autorità tutorie del bello italo idioma, le quali per ciò hanno ufficio, onori e stipendio? Mi duole anzi molto perchè talvolta nel corso dell’opera l’ironia andò più in là dell’intenzione, ma per mia giustificazione devo dire che ciò mi avvenne in quei casi speciali in cui la voce straniera non cadeva sotto nessuna tenue scusa filosofica, ma era manifesta prova di dedizione vile o di contradizione palese.

E anche in questi casi ho avuto alcuna materia di conforto; e, in mancanza di meglio, può essere conforto a chi, con sincero animo, mi rivolge queste obbiezioni, cioè ai sinceri amatori della favella nostra; ecco: la più gran parte di queste parole, levandosi la maschera francese od inglese etc., apparivano generate da quella gran nostra lingua latina la quale mi pare bestemmia chiamare morta, quando in essa rimane tanta forza e tanta vita che non pur le lingue di tipo latino di essa vivono, ma le stesse lingue di tipo germanico, per esprimere il nuovo pensiero della filosofia, della logica, delle scienze, a lei, a questa ammirabile madre antica, domandano i segni ed i suoni.

E infine questa invasione, questo permeare, questa endosmosi, per così dire, di voci straniere, chi può assicurare che non rappresenti una necessità, un fenomeno di evoluzione complessa di questa «itala gente da le molte vite» di cui ciò che appare nel linguaggio è fatto parziale? Chi può non tener conto del premere delle altre civiltà e degli altri popoli con cui venimmo a più diretto contatto con l’unità e l’indipendenza? E fosse alcunchè di vero nell’opinione che l’Italia, fatta Italia,

  1. Mia preoccupazione fu di non sembrare nè meno di fare un’altra opera come il Lessico dell’infima e corrotta italianità del Fanfani ed Arlia, come i Neologismi buoni e cattivi del Rigutini, spesso citati; e benchè il mio libro possa nell’uso pratico supplire quelli, e benchè anche qui il lettore possa trovare qualche chiosa o avvertenza grammaticale su gli errori più comuni, questa è opera distinta, la quale, come ho detto, parte da altri principi: quelli sono lavori degni di persone degne, i quali hanno loro posto nella letteratura nè possono nè debbono essere sostituiti se non da altre opere che muovano dagli stessi criteri da cui mossero ì detti autori.