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Chiromanzia: parola formata di due voci greche che significano l’arte del predire la ventura derivandola dalle rughe e dall’aspetto esteriore della palma della mano: superstizione antichissima, in onore anche oggidì. Il Gelli, op. cit., ne tratta ampiamente.
Chiù: voce imitativa dell’assiuolo, cara al buon poeta G. Pascoli che molto studiò le voci e la vita di queste fra «le più liete creature del mondo» (Leopardi), da non confondersi con il grido del cuculo, cucu.
Chiudere un buco per aprirne un altro: locuzione nostra che vuol dire pagare un debito facendone un altro, e anche si dice, parmi in Toscana, coprire un altare e scoprirne un altro.
Choc traumatico o operatorio: stato comatoso in seguito ai grandi traumatismi, contrassegnato da stupore senza perdita completa della coscienza e da un notevole abbassamento della temperatura.
Cholera o Colera morbus: o asiatico, voce di dubbia etimologia: male epidemico dovuto ad uno speciale bacterio patogeno detto dalla sua forma bacillo virgola. Questa malattia è caratterizzata da crampi e da un flusso gastro-intestinale con la perdita dell’acqua di tutti i tessuti; onde un turbamento di tutte le funzioni organiche. Cholera nostras, colera nostrano, malattia sporadica, non epidemica, che appare talora sul finir della state. Colerina, forma attenuata di colera che si osserva talora nelle epidemie coleriche.
Chope: voce francese... e italiana per indicare il bicchiere di forma lunga e conica in cui bevesi la birra: capacità circa di mezzo litro. L’etimologia della parola è tedesca. Più recente di chope è la parola bock.
Chou: (in latino caulis, italiano cavolo) questa parola francese nel linguaggio della moda vale per traslato ad indicare una specie di ciuffo, fatto di nastri, gale o trine, che rende simiglianza della foggia del cavolo. Ma se la crestaia dicesse alla dama che sul suo cappello sta bene un cavolo e non un chou, farebbe fuggire inorridita l’avventrice.
Choucroute: è la parola franceso, corrispondente alla tedesca sauerkraut, da sauer = acido e kraut: = cavoli (crauti), cioè i cavoli cappuccio, tagliati e messi in salamoia e spediti in lattoni o barili. La lingua francese accogliendo la parola, tedesca, la ha corrotta in modo conforme all’indole propria. Il signor Darchini nel citato suo dizionario francese italiano (Vallardi, 1903) traduce alla brava per salcràutte. Ma non è il sig. Darchini che traduca arbitrariamente; è il Petrocchi che registra così questa voce la quale, come appare, deve aver ottenuto cittadinanza fiorentina.
Christmas-day: la gente mondana sostituisce talvolta alla voce antonomastica e bellissima Natale [dies natalis Christi] la voce inglese anzi detta, e la ragiono più valida può trovarsi soltanto nella credenza che fra due voci di uguale significato, l’una italiana l’altra straniera, questa abbia in sè qualcosa di gentile e di fine che l’altra non ha.
Christofle: è una lega di rame, zinco e nichelio la quale assomiglia all’argento e serve per fabbricare varie specie di utensili domestici. Il nome è dovuto all’industriale francese, Carlo Christofle, (1805-1863). In italiano vi corrisponde la parola argentana o argentano; ma essa non è molto dell’uso nè sempre è registrata.
Ci: è particella pronominale = noi, a noi. Usata in vece di a lui, a lei, a loro, se tollerabile nel linguaggio delle persone indotte, è disdicevole anche ad ogni familiare scrittura. Pei grammatici e pei puristi è giustamente ritenuta errore; non solo, ma nelle scritture letterarie è spontaneamente forma sfuggita come inelegante e sciatta anche dai più liberi scrittori, che pur abbiano alcun senso del bello. Questo idiotismo è tipicamente lombardo, ma non perciò sconosciuto ad altre regioni d’Italia, specie in cambio di a loro o loro, nel qual caso il condannato ci come «la più sguaiata, la più esosa, la più antipatica forma» (Petrocchi) potrebbe trovare qualche difensore. Ecco un es. del Manzoni, P. S., cap. ultimo: «i guai vengono spesso perchè ci si è dato cagione». Si usa ci per gli, le, loro quando c’è a può sottintendersi con lui, con lei, con