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di Alfredo Panzini 393

che io abitavo allora. Era accompagnato dal fedele Moschino: questi, biondo, alto, un po’ freddo, cortesissimo, elegantissimo. Non so perchè mi corse in mente il duca Cesare Borgia ed il fido Moschino del romanzo «Ettore Fieramosca». Andammo al porto. Io stentavo a tener su il discorso! Ma quando fummo al porto, egli stette lì, immoto a lungo, a guardare davanti: Pola, Fiume, Zara! Indicava come vedesse. Parlava coi marinai in dialetto veneto; ed i marinai di Romagna gli rispondevano con meraviglia di trovare un signore di questa sponda che conosceva così bene l’altra sponda.

Seppi poi, ma non da lui, che egli era bandito dall’Austria.

E fu così che, l’anno seguente, mi prese vaghezza di veder Zara.

Fu quel viaggio come un sogno. Vissi un giorno di stupore a Zara. Stupore nel trovare l’Italia, dopo una notte di mare; come un’Italia orientale.

E al ritorno, navigando col piroscafo per Venezia, alcuni signori imbarcati a Zara, poichè io mi congratulavo con loro del loro puro e fiero dialetto veneto, mi dicevano: «Per qualche anno ancora e poi non più!» E mi pareva che essi e le loro donne lagrimassero. Ora comprendo le parole di Colautti morente: «laggiù! Zara! La Patria!»

26 - Diario sentimentale