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di Alfredo Panzini | 385 |
resto della gamella sparso nel sangue fumante. Un filaccio di lesso gli esciva dall’angolo delle labbra livide. La morte gli pigliava a un tempo il corpo e il cibo. La morte gli toglieva ogni bellezza, all’atto bestiale della nutrizione aggiungendo più di bestialità, fissando al limitare dell’eterno quel che è ignobile. Il compagno che gli chiuse le palpebre, gli nettò anche da quei rimasugli la bocca e il mento. La misericordia vinse la ripugnanza. Sempre vedrò quel gesto pietoso e atroce, quelle due dita ficcate tra i denti lordi del cadavere.
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4 Settembre, 1916.
La signora avverte la cuoca che bisogna variare il pranzo. Le curialitates ad mensam della signora sono troppe, anche in campagna. Fiori, e l’ineffàbile profumo delle gaggìe. Ci siamo bisticciati. «Ma via quel giornale!» io dico. Ella vuole lèggere ad mensam le notizie della guerra.
Ah, io sono molto nevrastènico! Ho in mente questo passo del diario di quell’austrìaco morto: «È impossìbile dire quanto pùzzino i cadaveri. Non si può resistere. Si apre la bocca per man-