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di Alfredo Panzini 367


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Milano, 16 Aprile 1916.

È inutile, non si può studiare. Questo rombo dei motori pare sopra i tetti. L’orològio segna le cinque e tre quarti del mattino. Oramai è giorno: possiamo spègnere il lume.

Stanotte alle ore tre la donna di casa mi ha destato:

— Sente?

— Che cosa?

— Cannonate.

— Cioè?

— L’avviso per gli areoplani.

Poco dopo, infatti, rimbombàrono due colpi nella notte. Accesi il lume. Svegliammo la piccola Titì. Per le scale del casamento lo spettàcolo era grottesco. Lumini di candele, processione di vicini, avviati in cantina. Vedo frettolosa discèndere la signorina Maria: passa come uno spettro bianco. Oh, molto spettro! Lei così elegante, slanciata!

Accompagnate le donne in cantina, sono ritornato nello studio, prima perchè sono abituato a fare così ogni mattina, poi perchè non è consentito ad uno che spiega l’Iliade di Omero in iscuola, d’andare in cantina. Ed ecco, dopo un po’, si ripete quel rombo. Disturba veramente.