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di Alfredo Panzini | 365 |
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12 Marzo 1916, Milano.
Ho rivisto quel sottotenente B***, che, due mesi fa, i facchini caricàrono in uno scompartimento di seconda classe da Bologna a Milano. La mamma e i parenti erano venuti a prènderlo, ma la gente era tanta, che non gli voleva far posto. Era tutto massacrato e la testa fasciata di nero come i condannati a morte. Ma ci doveva essere uno spiràglio in quelle bende, perchè mi riconobbe e scherzò con me, su la scuola, i compiti, Giulio Cesare. Dopo Modena si abbattè, e non parlò più.
Lo rividi e mi disse:
— La bocca è rimasta storta, l’occhio è perduto, non sarò più bello.
Avrà la medaglia al valore. Appena uscito dall’ospedale, vestirà in borghese. Disposto ancora a dare la vita, ma profondamente disilluso. Mi raccontò che, l’altra sera, al Cova, andò a salutare con la sua benda nera, a mezza testa, un suo collega ufficiale di cavalleria, giubba a due petti. Ne ebbe questo saluto irònico:
— Ah, tu sei di quelli che han fatto la guerra?
Già: distinzione tra «fissi» e «fessi». I «fissi», imboscati, gli altri al fronte (fessi).