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di Alfredo Panzini | 363 |
corrispondenza dalla Francia in cui sono queste savie osservazioni:
Una volta i soldati venivano sul campo di battaglia a squadre. Bandiere. Tamburi. Trombe. Ordini del giorno. Evoluzioni. Marcie forzate. Spari. Poi, quando la battaglia volgeva alla fine, fra una ebbrezza di fumi e di rombi, di grida e di canzoni, la carica alla baionetta.
Oggi le bandiere rimangono nelle retrovie. I tamburi sono buoni per le parate. Le trombe per i concerti del giovedì. I soldati, destinati all’assalto, arrivano sui camions, come i condannati a morte; scendono nelle trincee, senza vedere il campo su cui cadranno, come i condannati vanno incontro alla ghigliottina senza vederla se non quando debbono ficcare la testa nella lunetta; bevono un bicchierino, come i condannati a morte e, a un cenno, balzano fuori e vanno a morire...
Una volta l’assalto chiudeva una battaglia, oggi la inizia; una volta compendiava una battaglia, oggi l’annuncia. Allora, nell’assalto, il soldato portava tutto l’impeto esasperato da ore ed ore di combattimento: adesso deve portarvi tutta la coscienza di un alto dovere e tutta la rassegnazione della bestia che va al macello.
È questo il caso dei tedeschi e quello dei francesi.
E che dire allora dei tempi di Omero, quando prima di scagliare la lància, gli eroi facèvano un lungo discorso, e gli Dei dell’Olimpo stàvano ad ascoltare?
Le condizioni moderne della guerra sembrerèbbero dovere uccìdere la guerra. Ma è che la guerra è fatta dall’uomo, il quale òpera sotto l’azione di leggi di cui egli crede possedere gli istrumenti di manovra, ma nulla possiede fuorchè il suo orgoglio.
La guerra futura non sarà più affidata ai can-