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ti. V’è fra quei montanari di Cortina un’armonia antica, che non si può non rispettare. Noi gridiamo: «morte a Cecco Beppo». Lassù vi è un culto quasi religioso per l’imperatore. Il prete e l’assertore di questo culto. Non lo nascondono. Eppure ci accòlgono bene quando noi andiamo alle loro case. Scaldano il tè, la minestra: un po’ di fuoco. Dicono i vecchi : «Chi sa non facciano così per i nostri di là!»

I frane-tir eurs, i Cecchin , nelle retrovie, sono quasi tutti ampezzini.

II treno di soldati per le brevi licenze di questo Natale (le così dette tradotte) si mosse senza un canto di giòia! Chi torna dal fronte, non ha più gli stessi occhi. Non canta più. I soldati che tornano ancora lassù dalle licenze, provano ribrezzo del paese. Quanta indifferenza! Teatri pieni, caffè, e gli orrìbili cinematografi. Tutti quelli che restano qui (in Italia) non sono degni di venire lassù. Il paese non ha l’ambizione della vittòria! Per molti la guerra frutta enormemente. Così è: gli uomini si divìdono in due schiere: per gli uni, avere venti mila lire di rendita, e per costoro patria, umanità, gloria, sono ombre: per gli altri, divenir santi. Ora chi diventa santo, si interessa ben poco dell’èsito della guerra. Questo può stare a cuore ai professori di storia che do-