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di Alfredo Panzini | 339 |
e lei me lo diceva ora alle nove, che ero a letto! Sarei andato io da lui. Quest’estate, da quando ci lasciammo, gli ho scritto più volte a Modena, a Milano, pel tràmite di suo padre: nulla! Suo padre, questo dicembre, è venuto apposta da me. Un uomo di tanta autorità nella legge venire da me! Io sento di avergli fatto l’impressione di persona dappoco, e mi dispiace. Ma non potevo mica dirgli: «Scusi, signore, la presenza di un alto rappresentante della legge mi produce uno sconvolgimento. Appunto perchè sono un galantuomo, ho paura della legge!» Venne apposta per assicurarmi che suo figliuolo si ricordava sempre con affetto di me ecc. Ma alla mia domanda: «Perchè non si è fatto mai vivo», non rispose che evasivamente: «Così! Sa, è un ragazzo fatto così. Non scrive.»
Io non ho insistito. Bene, bene per un giòvane non scrìvere! Ma almeno una cartolina illustrata.
Supposi tuttavia che vi dovesse essere qualcosa che il babbo non sapeva.
Stamane, alle dieci, è venuto Gino. L’ho visto in piedi, nel sole, in mezzo alla stanza da pranzo, in quel sole cristallino e senza calore, che c’è