Pagina:Panzini - Diario sentimentale della guerra, 1923.djvu/329


di Alfredo Panzini 323

la porta di casa Alfredo Comandini, presso un banchetto di libri vecchi. Pìccolo, sbarbato, raso, lindo, sempre senza pastrano, àbito chiaro, chiuso con un bottone al collo. Ancora la cappellina romagnola. Parlatore meraviglioso, a quattr’occhi! Tutta la stòria gli formìcola, viva, nella testa; gli sibila nella parola. Sta raccogliendo sui banchetti, opùscoli, pamphlets, con la giòia di un bimbo ghiotto. È un pacco di qualche chilo. Inutile disturbarlo. Dopo parleremo.

Gli domando se sa che cosa è; che cosa vuol dire, l’attacco frontale del Cadorna.

Non giudica. Ma ha una delle sue atroci espressioni: «Noi crediamo di aver afferrato il meccanismo della difesa austrìaca, e invece è l’ingranàggio che ha preso la nostra mano. Un monte dopo l’altro!» Dice anche: «Per l’Italia occorreva un re con gli arnioni saldi di Vittorio Emanuele II, un ministro del gènio come Cavour, una tenàcia come quella di Mazzini, e niente sentimento di Garibaldi! Il sentimento, invece, ha preso la mano al Governo. Noi vogliamo essere spiritualisti, positivisti, pacifisti, imperialisti, costituzionali, guerrieri, socialisti. Troppa roba!». Però è tranquillo perchè l’Italia non perirà.

— Ma i morti, Comandini?

— Nomenclatura!