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di Alfredo Panzini 315

danzava sotto la luna! Pareva allora una statua ellènica! E la notte, la notte dove ella si nascondeva? Invano i suoi la cercavano, quella matta!

Dunque ella racconta:

— È tornato stanotte, il mio Ernesto, per quella pioggia. Tutta stanotte non ho chiuso occhio, non potevo dormire. Ma cosa ho, mi dicevo, che stanotte non posso dormire? Eppure non ho le pulci! E accendo il lume e guardo nel letto, e non ci sono le pulci. E non posso dormire! Mi sono cambiata la camicia per vedere se c’erano le pulci, e non c’erano! Ma cosa è? E anche il bambino era con gli occhi aperti. Ma cosa ha ste’ babein purein, che non può dormire neanche lui? E volta di qua e volta di là, quando sento bussare. Dico: sono i volontari che si dànno il càmbio e vengono a domandare la frutta. Se anche ne ho, dico che non l’ho. E sento: — Sunta, vieni ad aprire — Ti se te, ErnestSon me! — Era venuto a piedi da Gambèttola; l’era bagnato come un pulcino.

Le dico piano, ricordando cose pretèrite: — Se ti avesse trovato in compagnia?

Mi assicura solennemente che adesso il «mondo è morto!».

Le ricordo, allora, la età pretèrita, quando il mondo era per lei vivo.