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di Alfredo Panzini 283

io pur sorridevo, che a me veniva in mente un orbino delle vie di Bologna, (al dolce tempo che Mimì era giovanetta), al quale tanta passione si destava nel suonare il violino, che ne sveniva...

A queste forze in lui contrastanti, conviene aggiungere una terza sventura: la sua rettitudine e dignità, che in tanto era maggiore in quanto egli si conteneva da ogni ostentazione esteriore.

Se alcuna persona o azione o scrittura non gli piaceva, non inveiva; socchiudeva un po’ gli occhi e sorrideva un po’ enigmatico senza più dire. Nei casi più seri usava questa parola: «una persona bennata». cioè, una persona bennata opera, deve operare così.

Egli era legato per simpatia e per età a quei letterati così detti di avanguardia che facevano capo alla «Voce» di Firenze; ma ne parlava così in un certo modo: «quei cari ragazzi...» come dire: «un po’ di baldoria è ben naturale!»

E mi faceva venire in niente un Platone giovane, che vedesse danzare una schiera di coribanti con qualche pretensiosa mènade frammezzo. Io credo anche che egli avesse bevuto con avidità alla filosofia del nostro tempo, che è l’unica e Vera, perchè la filosofia di ogni tempo è l’unica e vera; ma che poi egli ne fosse rimasto soddisfatto, non saprei. Egli aveva capito che io di filosofia